Semplice accusa di “disobbedienza agli ordini” per i militari che torturarono i Papuasi

20 gennaio 2011

Un’immagine del video che ha suscitato sgomento e orrore presso la comunità internazionale. © Survival

Questa pagina è stata creata nel 2011 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.

I tre militari ripresi in un video mentre torturavano due indigeni Papuasi lo scorso maggio sono stati giudicati in un tribunale militare. Nonostante le percosse e le torture mostrate nel video, i soldati sono stati accusati solo di “non aver eseguito gli ordini”.

Le immagini crude e scioccanti diffuse da Survival e altre associazioni su internet lo scorso ottobre, mostravano un uomo anziano spogliato nudo, con una borsa di plastica infilata a forza sulla testa e con un tizzone ardente premuto sui genitali. Il procuratore militare, il signor Soemantri, ha dichiarato che si suppone che i soldati “interroghino le persone in modo persuasivo”.

Poco dopo la diffusione online del video, l’esercito indonesiano confermò che gli uomini immortalati a torturare i Papuasi erano soldati e il Presidente Yudhoyono promise "un’indagine rapida ed esauriente”

Tuttavia, i soldati non sono stati accusati di violenza, ma solo di insubordinazione per “aver ignorato le istruzioni del loro comandante”. Rischiano pertanto un massimo di 30 mesi di carcere.

Le immagini riprese dal cellulare dai soldati costituivano una chiara prova degli abusi dei diritti umani commessi. Ciononostante il Procuratore Soemantri ha dichiarato che mentre premevano un tizzone ardente sui genitali di Kiwo i soldati stavano “disobbedendo agli ordini”.

A dispetto delle confessioni dei soldati, dell’esistenza del video e di dichiarazioni dettagliate delle vittime raccolte dagli attivisti per i diritti umani, il Procuratore Soemantri ha affermato che non si può emettere un’accusa di violenza perché “non c’è una vittima… La vittima non si è presentata a testimoniare davanti a noi”. Ifdhal Kasim, Presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani, ha dichiarato che i due “volevano testimoniare”, ma temevano “rappresaglie” da parte dei militari.

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