Innu: firmato l’accordo dopo vent’anni di trattative

7 luglio 2011

Bambini Innu, Canada. © Bob Bartel/Survival

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Gli Innu del Labrador hanno votato per l’approvazione dell’accordo chiamato “New Dawn” (“Tshash Petapen”), una rivendicazione territoriale che è stata oggetto di negoziati con i governi provinciale e federale per più di 20 anni.

È accaduto in concomitanza con la visita di William e Kate a Yellowknife, nei territori canadesi del Nordovest. Si dice che la coppia reale abbia incontrato gli Inuit e i suonatori di tamburo Chipewyan, e che abbiano poi visitato un tipi a Blatchford Lodge.

L’accordo comprende l’approvazione del progetto idrico Lower Churchill, su cui gli Innu riceveranno delle royalty. Agli Innu è stato anche riconosciuto il diritto di cacciare in vaste aree del Labrador e un indennizzo per l’inondazione provocata dalla costruzione della diga delle cascate Churchill negli anni ’60 – all’epoca gli Innu non erano stati né consultati né risarciti. Ma la votazione non è stata unanime e alcuni continuano a opposti al progetto. “Il fiume Churchill muore” ha dichiarato alla CBC News Elizabeth Penashue. “Non c’è più vita. Denaro, case di ogni tipo, ricchezze… ma il fiume sta morendo. Finito.”

Tra i popoli di lingua algonchina, gli Innu sono quelli che vivono più a nord. Abitano da circa 7.500 anni una vasta area di foreste sub-artiche, fiumi e tundre nella penisola del Labrador-Quebec, che loro chiamano Nitassinan.

Hanno vissuto come cacciatori nomadi fino alla seconda metà del XX secolo. Per la maggior parte dell’anno, i corsi d’acqua della Nitassinan sono gelati; gli Innu si spostano quindi in piccoli gruppi composti da due o tre famiglie usando racchette da neve e toboga. Quando il ghiaccio si scioglie, viaggiano in canoa verso la costa o un grande lago dell’interno per pescare, commerciare e incontrare amici e parenti. Come ha detto un uomo Innu, “Nella natura risiedono la mia identità, la mia religione, io stesso. È lì che io sono lavoratore, cacciatore, pescatore, ambientalista e biologo”.

Durante gli anni ’50 e ’60, tuttavia, il loro stile di vita fu sistematicamente sgretolato dal governo canadese e dalla Chiesa Cattolica. La loro terra fu confiscata, le loro credenze spirituali denunciate come “opera del diavolo”, il loro popolo costretto a sedentarizzarsi in baracche sovraffollate. La caccia al caribù – parte integrante dello stile di vita innu – fu criminalizzata. “In breve, il Governo” dichiara Colin Samson, un sociologo che ha lavorato con gli Innu per anni, “ha innescato molti processi volti a cambiare gli Innu e a minare molti delle fonti della loro unicità come popolo”.

“La transizione è stata traumatica e totalmente destabilizzante. La vita nelle comunità stanziali cominciò ad essere afflitta da tassi estremamente alti di alcolismo, con i bambini che sniffavano benzina e livelli record di violenza e suicidi… Nell’aprile 1999, la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha descritto la loro situazione come ‘la questione più urgente che i Canadesi devono affrontare’.”

Leggi il dossier di Survival Il Tibet del Canada – L’agonia degli Innu.

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