One Planet Summit: l’Italia preme per l’obiettivo del 30% ma 200 ONG denunciano una possibile catastrofe

14 gennaio 2021

Emmanuel Macron interviene al One Planet Summit, che si è svolto l’11 gennaio 2021. © Capture d’écran

Questa pagina è stata creata nel 2021 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.

Il One Planet Summit, organizzato in Francia e presieduto da Emmanuel Macron, è stato presentato come il vertice in cui “i decisori politici e gli attori economici del mondo intero si sono riuniti per intervenire contro la perdita di biodiversità”.

Sembra però essere servito principalmente a sancire la volontà di monetizzare la natura – attraverso soluzioni basate sulla natura, come le compensazioni di carbonio – e ad annunciare l’adesione di circa 50 paesi, tra cui l’Italia, alla “High Ambition Coalition for Nature and People” che promuove l’obiettivo disastroso di trasformare il 30% della Terra in “Aree Protette” entro il 2030.

Nel suo intervento al Vertice, il Premier Conte ha annunciato che, nell’anno della Presidenza italiana del G20, l’Italia promuoverà l’adesione al target del 30% a livello globale in occasione della COP 15 (Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica).

Secondo Survival International, il movimento mondiale per i popoli indigeni, l’obiettivo del 30% è una grande bugia verde che rischia di distruggere la vita di circa 300 milioni di persone – molte delle quali indigeni – e non salverà il pianeta.

In molte parti del pianeta, le “Aree Protette” sono luoghi in cui alle persone che vi abitavano viene proibito di viverci, di utilizzare la natura per nutrire le proprie famiglie, di raccogliere le piante medicinali per curarsi e di visitare i luoghi sacri. Quando lo fanno, vengono picchiate, torturate e talvolta persino uccise.

In tutto il mondo, i popoli indigeni si stanno opponendo in modo sempre più forte a questo modello di conservazione detto “fortezza”, che porta inevitabilmente con sé violazioni dei diritti umani, sfratti e accaparramenti di terra proprio a spese dei migliori custodi della natura. Numerosi e schiaccianti evidenze scientifiche dimostrano infatti che i popoli indigeni hanno storicamente avuto e continuano ad avere tutt’oggi un ruolo fondamentale nel contribuire alla conservazione della natura. Non è un caso che nei loro territori sia presente l’80% della biodiversità mondiale, anche se gli indigeni rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale.

Recentemente, alcuni rappresentanti e attivisti indigeni hanno potuto esprimere la loro contrarietà alla proposta del 30% e al modello della conservazione-fortezza nel corso di una conferenza straordinaria ospitata da alcuni Europarlamentari.

“Lo sfratto di comunità indigene nel nome delle Aree Protette sta diventando un fenomeno diffuso a livello globale” ha denunciato nel suo intervento Pranab Doley, attivista indigeno del popolo Mising dell’India. “La storia della conservazione è costellata dalla colonizzazione e dall’appropriazione dei nostri sforzi [di protezione della natura]. Il nostro lavoro deve essere riconosciuto… Abbiamo bisogno che la gente si unisca a noi per far arrivare la nostra voce perchè noi siamo quelli che vengono picchiati, torturati e assassinati nel nome della protezione della natura.”

Akash Orang, bambino indigeno di soli 7 anni, è rimasto permanente invalido dopo che i guardaparco del Parco nazionale di Kaziranga, in India, gli hanno sparato. Nel Parco vige la politica dello “sparare a vista.” © Survival

Survival International sta facendo pressione affinché i popoli indigeni siano messi al centro del movimento per la conservazione della natura e per garantire che non siano loro a dover pagare il prezzo di questo tipo di progetti.

“Il governo italiano e i leader mondiali non capiscono fino a che punto questi progetti siano distruttivi per i popoli indigeni che abitano e gestiscono le cosiddette ‘terre selvagge’ da generazioni; dovrebbero essere loro a guidare la conservazione della natura e invece ne sono le vittime” ha dichiarato il Direttore generale di Survival International, Stephen Corry. “Non si rendono conto di quanto sia arrogante e razzista credere che ‘noi’ troveremo un modo migliore per gestire quei territori unici. L’obiettivo del 30% non concorda nemmeno con la scienza, che ormai nell’ultimo decennio ha dimostrato chiaramente che riconoscere i diritti territoriali dei popoli indigeni è essenziale per la conservazione della biodiversità.”

Note ai redattori:

- Circa 200 tra organizzazioni ed esperti (tra cui Slow Food, FOCSIV, A Sud, Rete ‘Legalità per il clima’, Amnesty International UK, European Center for Constitutional and Human Rights ECCHR, World Rainforest Movement e Green Finance Observatory) hanno sottoscritto una dichiarazione di Survival International, Minority Rights Group e Rainforest Foundation UK che denuncia le gravi conseguenze che l’obiettivo del 30% potrebbe avere per i popoli indigeni e le comunità locali se non verranno adottate garanzie vincolanti sui diritti umani e se i diritti territoriali di questi popoli non saranno posti al centro degli sforzi di conservazione.

- Fiore Longo, responsabile della campagna “La grande bugia verde”, è disponibile per interviste in italiano.

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