La galleria di Survival racconta la storia di donne indigene che in ogni parte del mondo stanno lottando per i loro fondamentali diritti umani. Testi di Joanna Eede.

Essere una donna Dongria Kondh delle colline di Niyamgiri, nello Stato indiano di Orissa, significa mantenere un intimo legame con la propria terra natale. I Dongria vivono da millenni nelle lussureggianti foreste che ammantano le colline, tra fiumi perenni e giganteschi alberi di giaco. Si sono dati il nome di _Jharnia_, ovvero _protettori dei torrenti_.

Negli ultimi 10 anni, le donne Dongria Kondh hanno combattuto fianco a fianco con gli uomini per proteggere Niyamgiri dai progetti devastanti di Vedanta Resources, determinata a scavare una miniera di bauxite a cielo aperto proprio sulla montagna più sacra, Niyam Dongar, la “montagna della legge”. Per impedire ai bulldozer di Vedanta di distruggerla, un giorno hanno formato una catena umana attorno alle sue pendici, stingendola in un forte abbraccio.

Con una vittoria senza precedenti per i diritti indigeni, nell'agosto 2013 i Dongria Kondh hanno rifiutato all'unanimità i piani del famigerato gigante britannico Vedanta Resources di aprire una miniera di bauxite nelle colline sacre di Niyamgiri.  Molte donne Dongria hanno giocato un ruolo chiave nella battaglia, facendo sentire le loro proteste e percorrendo più di 1.600 chilometri in direzione Delhi per chiedere alla polizia di rilasciare i leader che erano stati arrestati. 

Ora i risultati delle consultazioni dovranno essere considerati dal Ministro dell'Ambiente e delle Foreste, a cui spetta l'ultima parola sulla miniera - ma sono in pochi a pensare che la miniera avrà il via libera.

Le donne Dongria Kondh sono impavide come sempre. _Non cederemo le nostre foreste a nessuno_ ha dichiarato una di loro. _Noi donne siamo tutte pronte a farci arrestare per questo. Continueremo comunque a vivere qui anche se minacceranno di ucciderci!_

_Finché avrò vita, non lascerò mai la mia Niyam Raja_.

Nel 2013 Survival ha lanciato la campagna "'Fieri, non primitivi!'":http://www.notprimitive.in/ per minare il pregiudizio, radicato in India, che dipinge i popoli tribali come "primitivi".

Essere una donna Dongria Kondh delle colline di Niyamgiri, nello Stato indiano di Orissa, significa mantenere un intimo legame con la propria terra natale. I Dongria vivono da millenni nelle lussureggianti foreste che ammantano le colline, tra fiumi perenni e giganteschi alberi di giaco. Si sono dati il nome di Jharnia, ovvero protettori dei torrenti.

Negli ultimi 10 anni, le donne Dongria Kondh hanno combattuto fianco a fianco con gli uomini per proteggere Niyamgiri dai progetti devastanti di Vedanta Resources, determinata a scavare una miniera di bauxite a cielo aperto proprio sulla montagna più sacra, Niyam Dongar, la “montagna della legge”. Per impedire ai bulldozer di Vedanta di distruggerla, un giorno hanno formato una catena umana attorno alle sue pendici, stingendola in un forte abbraccio.

Con una vittoria senza precedenti per i diritti indigeni, nell’agosto 2013 i Dongria Kondh hanno rifiutato all’unanimità i piani del famigerato gigante britannico Vedanta Resources di aprire una miniera di bauxite nelle colline sacre di Niyamgiri. Molte donne Dongria hanno giocato un ruolo chiave nella battaglia, facendo sentire le loro proteste e percorrendo più di 1.600 chilometri in direzione Delhi per chiedere alla polizia di rilasciare i leader che erano stati arrestati.

Ora i risultati delle consultazioni dovranno essere considerati dal Ministro dell’Ambiente e delle Foreste, a cui spetta l’ultima parola sulla miniera – ma sono in pochi a pensare che la miniera avrà il via libera.

Le donne Dongria Kondh sono impavide come sempre. Non cederemo le nostre foreste a nessuno ha dichiarato una di loro. Noi donne siamo tutte pronte a farci arrestare per questo. Continueremo comunque a vivere qui anche se minacceranno di ucciderci!

Finché avrò vita, non lascerò mai la mia Niyam Raja.

Nel 2013 Survival ha lanciato la campagna ‘Fieri, non primitivi!’ per minare il pregiudizio, radicato in India, che dipinge i popoli tribali come “primitivi”.

© Jason Taylor

Quando i missionari cattolici sbarcarono nella penisola del Labrador-Quebec, nel Canada nord-orientale, molti inorridirono per lo straordinario livello di indipendenza e potere di cui godevano le donne Innu. Fino alla metà del XX secolo, l’attività missionaria profuse grandi sforzi per cambiare i ruoli di genere e conformarli al modello europeo.

Fino a non molto tempo fa, le donne europee erano generalmente considerate inferiori agli uomini. Senza possibilità di emergere nella società, si riteneva che il loro ruolo dovesse essere quello di affiancare e sostenere i mariti. Per contro, le donne Innu della stessa epoca erano molto più libere sia dentro che fuori del matrimonio, e spesso erano proprio loro a scegliere dove e quando accamparsi durante i lunghi viaggi attraverso le distese sub-artiche della loro patria, la _Nitassinan_.

_Questa indipendenza scandalizzò i missionari gesuiti, che cercarono ripetutamente di imporre gli standard europei sottomettendo le donne Innu ai loro mariti, ma ci riuscirono solo dopo che il governo canadese ebbe costretto gli Innu ad abbandonare il loro stile di vita migratorio per trasferirsi in villaggi stanziali_ racconta il professor Colin Samson, che ha lavorato con il popolo Innu per decenni.

Ciò nonostante, negli ultimi anni le donne Innu hanno guidato la resistenza del loro popolo ai voli d’esercitazione militare a bassa quota sulle loro terre, che mettono in fuga gli animali di cui si cibano e hanno un impatto negativo sulla salute fisica e mentale delle comunità.

Hanno anche avuto un ruolo di primo piano nella battaglia contro l’attività mineraria sulle terre indigene e stanno contribuendo in modo significativo agli sforzi compiuti dagli Innu per mantenere lo stile di vita tradizionale.

Quando i missionari cattolici sbarcarono nella penisola del Labrador-Quebec, nel Canada nord-orientale, molti inorridirono per lo straordinario livello di indipendenza e potere di cui godevano le donne Innu. Fino alla metà del XX secolo, l’attività missionaria profuse grandi sforzi per cambiare i ruoli di genere e conformarli al modello europeo.

Fino a non molto tempo fa, le donne europee erano generalmente considerate inferiori agli uomini. Senza possibilità di emergere nella società, si riteneva che il loro ruolo dovesse essere quello di affiancare e sostenere i mariti. Per contro, le donne Innu della stessa epoca erano molto più libere sia dentro che fuori del matrimonio, e spesso erano proprio loro a scegliere dove e quando accamparsi durante i lunghi viaggi attraverso le distese sub-artiche della loro patria, la Nitassinan.

Questa indipendenza scandalizzò i missionari gesuiti, che cercarono ripetutamente di imporre gli standard europei sottomettendo le donne Innu ai loro mariti, ma ci riuscirono solo dopo che il governo canadese ebbe costretto gli Innu ad abbandonare il loro stile di vita migratorio per trasferirsi in villaggi stanziali racconta il professor Colin Samson, che ha lavorato con il popolo Innu per decenni.

Ciò nonostante, negli ultimi anni le donne Innu hanno guidato la resistenza del loro popolo ai voli d’esercitazione militare a bassa quota sulle loro terre, che mettono in fuga gli animali di cui si cibano e hanno un impatto negativo sulla salute fisica e mentale delle comunità.

Hanno anche avuto un ruolo di primo piano nella battaglia contro l’attività mineraria sulle terre indigene e stanno contribuendo in modo significativo agli sforzi compiuti dagli Innu per mantenere lo stile di vita tradizionale.

© Dominick Tyler

Elizabeth Penashue, “Tshaukuesh”, è un’anziana Innu di 84 anni, originaria di Sheshatshiu, in Labrador.

Per molti anni ha guidato una marcia primaverile attraverso le montagne locali di Mealy con l'obiettivo di ricollegare le giovani generazioni alle terre in cui il suo popolo ha vissuto per quasi 8.000 anni.

_Non voglio vedere i miei figli perdere tutto. Non voglio che perdano la loro identità innu, la loro cultura e la vita_ ha detto a Survival. _Ho molto da insegnare ai bambini prima di morire. Se nessuno insegna ai nostri figli, che cosa penseranno quando saranno cresciuti? Penseranno “Io non sono Innu, io sono un Bianco?_

_Sapere chi sei è importante. Io sono Innu. Questa terra è la mia vita. Sono orgogliosa di essere nata in una tenda, senza ostetriche né dottori. Ad aiutare mia madre a partorire è stato mio padre._

_Quando vado nel territorio, mi sento a casa, nel mio posto. Il posto degli Innu._

Elizabeth Penashue, “Tshaukuesh”, è un’anziana Innu di 84 anni, originaria di Sheshatshiu, in Labrador.

Per molti anni ha guidato una marcia primaverile attraverso le montagne locali di Mealy con l’obiettivo di ricollegare le giovani generazioni alle terre in cui il suo popolo ha vissuto per quasi 8.000 anni.

Non voglio vedere i miei figli perdere tutto. Non voglio che perdano la loro identità innu, la loro cultura e la vita ha detto a Survival. Ho molto da insegnare ai bambini prima di morire. Se nessuno insegna ai nostri figli, che cosa penseranno quando saranno cresciuti? Penseranno “Io non sono Innu, io sono un Bianco?

Sapere chi sei è importante. Io sono Innu. Questa terra è la mia vita. Sono orgogliosa di essere nata in una tenda, senza ostetriche né dottori. Ad aiutare mia madre a partorire è stato mio padre.

Quando vado nel territorio, mi sento a casa, nel mio posto. Il posto degli Innu.

© Elizabeth Penashue

Appena a sud dell’Equatore, tra le acque salate del Lago Eyasi della Tanzania e i bastioni della Grande Rift Valley, vivono gli Hadza, una piccola tribù di circa 1.300 cacciatori-raccoglitori: una delle ultime rimaste in Africa.

È probabile che gli Hadza vivano nell’area di Yaeda Chini da millenni. Come i Boscimani dell’Africa meridionale, geneticamente sono uno dei "più antichi" lignaggi dell'umanità. Negli ultimi 50 anni, tuttavia, la tribù ha perso il 90% della sua terra.

Gli Hadza danno molto valore all’uguaglianza e non riconoscono nessun leader ufficiale. Di conseguenza, le donne Hadza godono di grande autonomia e partecipano ai processi decisionali al pari degli uomini.

Appena a sud dell’Equatore, tra le acque salate del Lago Eyasi della Tanzania e i bastioni della Grande Rift Valley, vivono gli Hadza, una piccola tribù di circa 1.300 cacciatori-raccoglitori: una delle ultime rimaste in Africa.

È probabile che gli Hadza vivano nell’area di Yaeda Chini da millenni. Come i Boscimani dell’Africa meridionale, geneticamente sono uno dei “più antichi” lignaggi dell’umanità. Negli ultimi 50 anni, tuttavia, la tribù ha perso il 90% della sua terra.

Gli Hadza danno molto valore all’uguaglianza e non riconoscono nessun leader ufficiale. Di conseguenza, le donne Hadza godono di grande autonomia e partecipano ai processi decisionali al pari degli uomini.

© Joanna Eede/Survival

Le montagne della Sierra Nevada di Santa Marta, nel nord della Colombia, formano la più alta catena costiera del mondo; i picchi innevati che sovrastano i declivi ammantati di foreste nebbiose e di fiumi dalle acque fangose sono sacri agli indigeni Arhuaco.

Gli Arhuaco vivono là da secoli. Per loro, la Sierra Nevada è il cuore del mondo; si considerano i “Fratelli Maggiori”, e credono di possedere una saggezza e una comprensione mistica superiore a quella degli altri.

Leonor Zalabata, una leader Arhuaco impegnata senza sosta nella difesa del suo popolo e dei diritti dei 102 popoli indigeni della Colombia, ha incontrato Survival International per la prima volta nei primi anni ’90, quando i guerriglieri di sinistra si insediarono nelle loro terre sottoponendo la popolazione a un periodo di brutali violenze. Molti leader Arhuaco furono uccisi.

Nonostante i pericoli continui, Leonor ha dedicato la sua vita a denunciare gli abusi compiuti contro gli Indiani colombiani. Ha lavorato con il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite per i popoli indigeni e nel Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene.

_La Sierra Nevada di Santa Marta ... è il cuore del mondo. Qui è dove i nostri spiriti riposano e dimorano._

_Nella nostra cultura_, spiega Leonor, _si dice che quando nasce una bambina, la montagna ride e gli uccelli cantano_.

Le montagne della Sierra Nevada di Santa Marta, nel nord della Colombia, formano la più alta catena costiera del mondo; i picchi innevati che sovrastano i declivi ammantati di foreste nebbiose e di fiumi dalle acque fangose sono sacri agli indigeni Arhuaco.

Gli Arhuaco vivono là da secoli. Per loro, la Sierra Nevada è il cuore del mondo; si considerano i “Fratelli Maggiori”, e credono di possedere una saggezza e una comprensione mistica superiore a quella degli altri.

Leonor Zalabata, una leader Arhuaco impegnata senza sosta nella difesa del suo popolo e dei diritti dei 102 popoli indigeni della Colombia, ha incontrato Survival International per la prima volta nei primi anni ’90, quando i guerriglieri di sinistra si insediarono nelle loro terre sottoponendo la popolazione a un periodo di brutali violenze. Molti leader Arhuaco furono uccisi.

Nonostante i pericoli continui, Leonor ha dedicato la sua vita a denunciare gli abusi compiuti contro gli Indiani colombiani. Ha lavorato con il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite per i popoli indigeni e nel Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene.

La Sierra Nevada di Santa Marta … è il cuore del mondo. Qui è dove i nostri spiriti riposano e dimorano.

Nella nostra cultura, spiega Leonor, si dice che quando nasce una bambina, la montagna ride e gli uccelli cantano.

© Survival

_Sono la vedova di Angel Maria Torres_ esordì Dilia Torres salutando una ricercatrice di Survival appena giunta al suo villaggio dopo una lunga arrampicata sulle montagne.

Nel novembre 1990, il marito di Dilia, Angel Maria Torres, lasciò la Sierra Nevada di Santa Marta insieme ad altri due leader degli Arhuaco per recarsi a Bogotá, capitale della Colombia.

Non tornarono più. Affabile e sorridente, Dilia racconta la sua tragica storia con serenità.

_Ci vollero 10 giorni prima di venire a sapere che mio marito non era mai arrivato a destinazione. Angel e gli altri uomini erano stati rapiti, torturati e uccisi. Quando lo trovammo, non aveva più i capelli e gli mancavano le dita (…)._ 

_Ho perso mio marito e con lui la speranza di una vita con il mio compagno e una famiglia. Credo che gli indigeni continueranno ad essere presi di mira, senza giustizia._

_Ecco qual è la situazione. Dovremo imparare a vivere nella paura costante. Ma siamo Arhuaco. E dovranno trattarci come Arhuaco._

Sono la vedova di Angel Maria Torres esordì Dilia Torres salutando una ricercatrice di Survival appena giunta al suo villaggio dopo una lunga arrampicata sulle montagne.

Nel novembre 1990, il marito di Dilia, Angel Maria Torres, lasciò la Sierra Nevada di Santa Marta insieme ad altri due leader degli Arhuaco per recarsi a Bogotá, capitale della Colombia.

Non tornarono più. Affabile e sorridente, Dilia racconta la sua tragica storia con serenità.

Ci vollero 10 giorni prima di venire a sapere che mio marito non era mai arrivato a destinazione. Angel e gli altri uomini erano stati rapiti, torturati e uccisi. Quando lo trovammo, non aveva più i capelli e gli mancavano le dita (…).

Ho perso mio marito e con lui la speranza di una vita con il mio compagno e una famiglia. Credo che gli indigeni continueranno ad essere presi di mira, senza giustizia.

Ecco qual è la situazione. Dovremo imparare a vivere nella paura costante. Ma siamo Arhuaco. E dovranno trattarci come Arhuaco.

© Survival

Una donna Nenet davanti al suo _chum_ (tipi) nella penisola siberiana di Yamal. La sua patria è un luogo remoto battuto dal vento, ricoperto di permagelo, fiumi serpeggianti e arbusti nani attraverso cui i pastori di renne Nenet migrano da oltre mille anni.

In inverno, le donne sopportano temperature che possono scendere fino a -50°C. È la stagione durante la quale la maggior parte dei Nenet fa pascolare le renne su muschi e licheni delle foreste meridionali, o nella taiga. Nei mesi estivi, quando il sole di mezzanotte trasforma la notte in giorno, le donne smantellano il campo e migrano più a nord insieme alle loro famiglie.

Oggi, i loro stili di vita sono gravemente minacciati dalle trivellazioni petrolifere e dai cambiamenti climatici. Le rotte di migrazione vengono interrotte dalle infrastrutture collegate all’estrazione delle risorse, le renne fanno fatica ad attraversare le strade e secondo i Nenet, l'inquinamento minaccia la qualità dei pascoli.

_Le renne sono la nostra casa, il nostro cibo, il nostro calore e il nostro mezzo di trasporto_ ha detto una donna Nenet.

Una donna Nenet davanti al suo chum (tipi) nella penisola siberiana di Yamal. La sua patria è un luogo remoto battuto dal vento, ricoperto di permagelo, fiumi serpeggianti e arbusti nani attraverso cui i pastori di renne Nenet migrano da oltre mille anni.

In inverno, le donne sopportano temperature che possono scendere fino a -50°C. È la stagione durante la quale la maggior parte dei Nenet fa pascolare le renne su muschi e licheni delle foreste meridionali, o nella taiga. Nei mesi estivi, quando il sole di mezzanotte trasforma la notte in giorno, le donne smantellano il campo e migrano più a nord insieme alle loro famiglie.

Oggi, i loro stili di vita sono gravemente minacciati dalle trivellazioni petrolifere e dai cambiamenti climatici. Le rotte di migrazione vengono interrotte dalle infrastrutture collegate all’estrazione delle risorse, le renne fanno fatica ad attraversare le strade e secondo i Nenet, l’inquinamento minaccia la qualità dei pascoli.

Le renne sono la nostra casa, il nostro cibo, il nostro calore e il nostro mezzo di trasporto ha detto una donna Nenet.

© Steve Morgan

Da quando il Bangladesh è diventato indipendente dal Pakistan, nel 1971, il popolo indigeno delle Chittagong Hill Tracts subisce alcune tra le peggiori violazioni dei diritti umani in Asia.

Gentili, compassionevoli e religiosamente tolleranti, gli Jumma si differenziano etnicamente e linguisticamente dalla maggioranza bengalese.

Oggi, sono anche uno dei popoli tribali più perseguitati. Ormai quasi superati numericamente dai coloni, vengono brutalizzati dai militari. Nel corso di una sola azione, centinaia di uomini, donne e bambini sono stati bruciati vivi nelle loro case di bambù.

Il livello degli abusi sessuali contro le donne e le giovani Jumma è allarmante: dal mese di agosto 2012, almeno 12 donne sono state oggetto di violenza sessuale, anche se il numero potrebbe essere più alto perché spesso lo stupro non viene denunciato a causa del marchio sociale.

_Ben poco è stato fatto per perseguire i responsabili di questi crimini_ ha dichiarato Sophie Grig di Survival International. _Questo lascia le donne e le ragazze Jumma sempre più vulnerabili, perché i loro aggressori possono agire impunemente._

Da quando il Bangladesh è diventato indipendente dal Pakistan, nel 1971, il popolo indigeno delle Chittagong Hill Tracts subisce alcune tra le peggiori violazioni dei diritti umani in Asia.

Gentili, compassionevoli e religiosamente tolleranti, gli Jumma si differenziano etnicamente e linguisticamente dalla maggioranza bengalese.

Oggi, sono anche uno dei popoli tribali più perseguitati. Ormai quasi superati numericamente dai coloni, vengono brutalizzati dai militari. Nel corso di una sola azione, centinaia di uomini, donne e bambini sono stati bruciati vivi nelle loro case di bambù.

Il livello degli abusi sessuali contro le donne e le giovani Jumma è allarmante: dal mese di agosto 2012, almeno 12 donne sono state oggetto di violenza sessuale, anche se il numero potrebbe essere più alto perché spesso lo stupro non viene denunciato a causa del marchio sociale.

Ben poco è stato fatto per perseguire i responsabili di questi crimini ha dichiarato Sophie Grig di Survival International. Questo lascia le donne e le ragazze Jumma sempre più vulnerabili, perché i loro aggressori possono agire impunemente.

© GMB Akash/Survival

Lo stato brasiliano di Rondônia è il quartier generale di allevatori e imprenditori agricoli che alimentano la crescita economica del Paese.

In mezzo a campi sterminati di soia e grandi allevamenti di bestiame, sopravvive un piccolo fazzoletto di foresta pluviale. È tutto ciò che rimane di quella che un tempo era una densa e lussureggiante foresta pluviale.

Ma è anche l'ultimo rifugio degli Akuntsu, che un tempo erano una fiorente tribù amazzonica. La maggior parte del loro popolo è stata massacrata da uomini armati al soldo degli invasori.

Oggi, gli Akuntsu sono rimasti solo in 5; tre di loro sono donne. Hanno perso la loro matriarca, una donna di nome Ururu, nell’ottobre del 2008.

_Fra pochi anni, un intero popolo con la unica visione sul mondo sarà perduto per sempre_ ha detto Fiona Watson di Survival International, che ha visitato gli Akuntsu.

_E con la scomparsa di un altro pezzo della nostra ricca diversità, l'umanità si ritroverà irrimediabilmente e tragicamente più povera._

Lo stato brasiliano di Rondônia è il quartier generale di allevatori e imprenditori agricoli che alimentano la crescita economica del Paese.

In mezzo a campi sterminati di soia e grandi allevamenti di bestiame, sopravvive un piccolo fazzoletto di foresta pluviale. È tutto ciò che rimane di quella che un tempo era una densa e lussureggiante foresta pluviale.

Ma è anche l’ultimo rifugio degli Akuntsu, che un tempo erano una fiorente tribù amazzonica. La maggior parte del loro popolo è stata massacrata da uomini armati al soldo degli invasori.

Oggi, gli Akuntsu sono rimasti solo in 5; tre di loro sono donne. Hanno perso la loro matriarca, una donna di nome Ururu, nell’ottobre del 2008.

Fra pochi anni, un intero popolo con la unica visione sul mondo sarà perduto per sempre ha detto Fiona Watson di Survival International, che ha visitato gli Akuntsu.

E con la scomparsa di un altro pezzo della nostra ricca diversità, l’umanità si ritroverà irrimediabilmente e tragicamente più povera.

© Fiona Watson/Survival

I Boscimani sono gli abitanti originari dell'Africa meridionale. Possono legittimamente dire di essere i “più indigeni” di tutto il mondo perché hanno vissuto sulle loro terre più di quanto chiunque altro abbia mai vissuto altrove.

Nel 1980, sotto la sabbia della Central Kalahari Game Reserve (CKGR) furono individuati i più ricchi giacimenti di diamanti al mondo.

Tra il 1997 e il 2002 quasi tutti i Boscimani furono prelevati dalle loro case e trasferiti a forza in campi di reinsediamento fuori della CKGR, dove erano non solo privati del loro stile di vita, ma anche sottoposti a un umiliante e radicato razzismo. _Come può una creatura dell’Età della pietra continuare a vivere nell'era dei computer?_ dichiarò l’allora presidente del Botswana Festus Mogae.

Oggi, alcune donne boscimani e le loro famiglie sono tornate a vivere nella riserva, ma le molestie e le intimidazioni continuano. Nel gennaio del 2013 si è saputo che alcuni dei loro bambini erano stati arrestati per possesso di carne d’antilope.

_Lasciate che ci chiamino primitivi. Lasciate che ci chiamino “uomini dell'Età della pietra”. Il nostro stile di vita ci sta bene. Abbiamo visto il loro sviluppo, e non ci piace_ ha dichiarato una donna boscimane.

I Boscimani sono gli abitanti originari dell’Africa meridionale. Possono legittimamente dire di essere i “più indigeni” di tutto il mondo perché hanno vissuto sulle loro terre più di quanto chiunque altro abbia mai vissuto altrove.

Nel 1980, sotto la sabbia della Central Kalahari Game Reserve (CKGR) furono individuati i più ricchi giacimenti di diamanti al mondo.

Tra il 1997 e il 2002 quasi tutti i Boscimani furono prelevati dalle loro case e trasferiti a forza in campi di reinsediamento fuori della CKGR, dove erano non solo privati del loro stile di vita, ma anche sottoposti a un umiliante e radicato razzismo. Come può una creatura dell’Età della pietra continuare a vivere nell’era dei computer? dichiarò l’allora presidente del Botswana Festus Mogae.

Oggi, alcune donne boscimani e le loro famiglie sono tornate a vivere nella riserva, ma le molestie e le intimidazioni continuano. Nel gennaio del 2013 si è saputo che alcuni dei loro bambini erano stati arrestati per possesso di carne d’antilope.

Lasciate che ci chiamino primitivi. Lasciate che ci chiamino “uomini dell’Età della pietra”. Il nostro stile di vita ci sta bene. Abbiamo visto il loro sviluppo, e non ci piace ha dichiarato una donna boscimane.

© Survival International

Xlarema Phuti è una guaritrice boscimane che il governo ha sfrattato con la forza dal villaggio di Molapo, sua terra ancestrale, e l’ha trasferita a New Xade, un campo di reinsediamento fuori della Central Kalahari Game Reserve e noto ai Boscimani come “luogo di morte”. Là, i Boscimani dipendono dalle razioni di cibo distribuite dal governo, la caccia è vietata e la depressione, l'alcolismo e l'HIV sono all'ordine del giorno.

Xlarema ha raccontato a Survival International delle capacità curative della trance tradizionale boscimane, e della tristezza che l’affligge da quando è stata cacciata dalle sue terre.

_Mentre ballo la danza della trance, parlo agli antenati perché mi aiutino a guarire il malato._

_Sono diventata una guaritrice quand’ero ancora ragazza. Feci un sogno, e la danza e la pratica della guarigione ebbero inizio. Quando mi mettevo a ballare, riuscivo a percepire le persone dal loro sangue e dal loro odore, potevo andare da loro e iniziare a guarirle._

_Potevo curare bene a Molapo perché là ci sono tanti antenati con cui parlare. Gli antenati parlano attraverso il mio sangue. Ma a New Xade non ci sono molti antenati, e per questo i miei poteri di guarigione sono più deboli. Inoltre alcune malattie sono molto difficili da curare, come l'HIV e l’AIDS…_

_Non conoscevamo questa malattia prima._

Xlarema Phuti è una guaritrice boscimane che il governo ha sfrattato con la forza dal villaggio di Molapo, sua terra ancestrale, e l’ha trasferita a New Xade, un campo di reinsediamento fuori della Central Kalahari Game Reserve e noto ai Boscimani come “luogo di morte”. Là, i Boscimani dipendono dalle razioni di cibo distribuite dal governo, la caccia è vietata e la depressione, l’alcolismo e l’HIV sono all’ordine del giorno.

Xlarema ha raccontato a Survival International delle capacità curative della trance tradizionale boscimane, e della tristezza che l’affligge da quando è stata cacciata dalle sue terre.

Mentre ballo la danza della trance, parlo agli antenati perché mi aiutino a guarire il malato.

Sono diventata una guaritrice quand’ero ancora ragazza. Feci un sogno, e la danza e la pratica della guarigione ebbero inizio. Quando mi mettevo a ballare, riuscivo a percepire le persone dal loro sangue e dal loro odore, potevo andare da loro e iniziare a guarirle.

Potevo curare bene a Molapo perché là ci sono tanti antenati con cui parlare. Gli antenati parlano attraverso il mio sangue. Ma a New Xade non ci sono molti antenati, e per questo i miei poteri di guarigione sono più deboli. Inoltre alcune malattie sono molto difficili da curare, come l’HIV e l’AIDS…

Non conoscevamo questa malattia prima.

© Dominick Tyler

Boa senior delle Isole Andamane, nell'Oceano Indiano, è stata l’ultima persona a parlare la lingua bo. Si pensa che i suoi antenati e quelli delle altre tribù delle Isole Andamane, come gli Jarawa, abbiano partecipato alle prime migrazioni umane effettuate con successo dall’Africa.

Boa senior è morta nel 2010. Insieme a lei sono morti 55.000 anni di pensieri e di idee - la storia collettiva di un intero popolo.

_Loro non mi capiscono. Cosa posso fare?_ chiese Boa senior poco prima di morire. _Se non parlano con me adesso, cosa faranno una volta che me ne sarò andata? Non dimenticate la nostra lingua, afferratela adesso_.

Se la strada che attraversa la loro foresta non verrà chiusa in modo permanente a coloni, bracconieri, disboscatori e turisti, agli Jarawa potrebbe toccare in sorte lo stesso destino di Boa senior. Prima che la Corte Suprema approvasse un provvedimento temporaneo di chiusura della strada, lungo la Andaman Trunk Road viaggiavano centinaia di turisti al giorno, con la speranza di poter vedere la tribù.

Dal 1993 Survival lavora per assicurare  la chiusura della strada e il rispetto della politica di minor intervento. La Corte Suprema, però, ha ribaltato il provvedimento nel marzo 2013, permettendo così ai "safari umani" di riprendere.

Boa senior delle Isole Andamane, nell’Oceano Indiano, è stata l’ultima persona a parlare la lingua bo. Si pensa che i suoi antenati e quelli delle altre tribù delle Isole Andamane, come gli Jarawa, abbiano partecipato alle prime migrazioni umane effettuate con successo dall’Africa.

Boa senior è morta nel 2010. Insieme a lei sono morti 55.000 anni di pensieri e di idee – la storia collettiva di un intero popolo.

Loro non mi capiscono. Cosa posso fare? chiese Boa senior poco prima di morire. Se non parlano con me adesso, cosa faranno una volta che me ne sarò andata? Non dimenticate la nostra lingua, afferratela adesso.

Se la strada che attraversa la loro foresta non verrà chiusa in modo permanente a coloni, bracconieri, disboscatori e turisti, agli Jarawa potrebbe toccare in sorte lo stesso destino di Boa senior. Prima che la Corte Suprema approvasse un provvedimento temporaneo di chiusura della strada, lungo la Andaman Trunk Road viaggiavano centinaia di turisti al giorno, con la speranza di poter vedere la tribù.

Dal 1993 Survival lavora per assicurare la chiusura della strada e il rispetto della politica di minor intervento. La Corte Suprema, però, ha ribaltato il provvedimento nel marzo 2013, permettendo così ai “safari umani” di riprendere.

© Alok Das

Soni Sori è un’insegnante adivasi (tribale) ed è madre di tre bambini piccoli. Vive nello stato indiano di Chhattisgarh.

Soni ha criticato apertamente il governo indiano, i Maoisti e le società siderurgiche, come il Gruppo Essar. Mentre era sotto custodia alla polizia con l’accusa di fare da corriere fra i Maoisti e il Gruppo Essar, è stata stuprata e torturata.

Soni è in carcere già da 17 mesi, con misere speranze di rilascio su cauzione. L’accusano di un reato per il quale non esistono prove. _Darmi scosse elettriche, denudarmi e scagliarmi addosso delle pietre può risolvere il problema Naxal (maoista)?_ ha scritto Soni in una lettera al giudice della Corte Suprema.

_Soni Sori ha subito orribili abusi per mano della polizia ma rimane sotto la loro custodia. Ma cosa c’è realmente dietro tutto questo?_ chiede Jo Woodman di Survival International. _I tentativi disperati dello stato di Chhattisgarh di mettere a tacere coloro che parlano, mentre le atrocità della guerra celata tra le roccaforti dell'India continuano. Nel frattempo, la sofferenza degli Adivasi dell'India centrale non cessa, e la giustizia sembra un sogno lontano._

_Voglio tornare a casa e aiutare la mia gente_, ha detto Soni Sori. _Voglio usare la mia istruzione per rafforzarli. Se non impariamo a parlare per noi stessi, noi indigeni saremo spazzati via._

Soni Sori è un’insegnante adivasi (tribale) ed è madre di tre bambini piccoli. Vive nello stato indiano di Chhattisgarh.

Soni ha criticato apertamente il governo indiano, i Maoisti e le società siderurgiche, come il Gruppo Essar. Mentre era sotto custodia alla polizia con l’accusa di fare da corriere fra i Maoisti e il Gruppo Essar, è stata stuprata e torturata.

Soni è in carcere già da 17 mesi, con misere speranze di rilascio su cauzione. L’accusano di un reato per il quale non esistono prove. Darmi scosse elettriche, denudarmi e scagliarmi addosso delle pietre può risolvere il problema Naxal (maoista)? ha scritto Soni in una lettera al giudice della Corte Suprema.

Soni Sori ha subito orribili abusi per mano della polizia ma rimane sotto la loro custodia. Ma cosa c’è realmente dietro tutto questo? chiede Jo Woodman di Survival International. I tentativi disperati dello stato di Chhattisgarh di mettere a tacere coloro che parlano, mentre le atrocità della guerra celata tra le roccaforti dell’India continuano. Nel frattempo, la sofferenza degli Adivasi dell’India centrale non cessa, e la giustizia sembra un sogno lontano.

Voglio tornare a casa e aiutare la mia gente, ha detto Soni Sori. Voglio usare la mia istruzione per rafforzarli. Se non impariamo a parlare per noi stessi, noi indigeni saremo spazzati via.

Molte donne delle società industriali stanno ancora lottando per la parità con gli uomini.

Per contro, tra le donne della tribù di cacciatori-raccoglitori Awá dell'Amazzonia brasiliana - la tribù più minacciate della Terra - lo stato di parità con gli uomini è normale. Le donne Awá possono anche avere diversi mariti - una pratica nota come poliandria.

Gli Awá sono una delle ultime due tribù di cacciatori-raccoglitori nomadi rimaste in Brasile. Per secoli hanno vissuto serenamente in simbiosi con la foresta pluviale; la famigliarità con le loro terre è tale che le donne Awá si prendono cura delle scimmiette rimaste orfane allattandole al seno. 

Nel corso degli ultimi quattro decenni, tuttavia, le donne Awá hanno assistito alla distruzione della loro patria e all'assassinio del loro popolo per mano dei 'karai', i 'non-Indiani'.

Molte donne delle società industriali stanno ancora lottando per la parità con gli uomini.

Per contro, tra le donne della tribù di cacciatori-raccoglitori Awá dell’Amazzonia brasiliana – la tribù più minacciate della Terra – lo stato di parità con gli uomini è normale. Le donne Awá possono anche avere diversi mariti – una pratica nota come poliandria.

Gli Awá sono una delle ultime due tribù di cacciatori-raccoglitori nomadi rimaste in Brasile. Per secoli hanno vissuto serenamente in simbiosi con la foresta pluviale; la famigliarità con le loro terre è tale che le donne Awá si prendono cura delle scimmiette rimaste orfane allattandole al seno.

Nel corso degli ultimi quattro decenni, tuttavia, le donne Awá hanno assistito alla distruzione della loro patria e all’assassinio del loro popolo per mano dei ‘karai’, i ‘non-Indiani’.

© Domenico Pugliese/Survival

Piccola Farfalla, una ragazzina Awá, vive in un villaggio sito a soli 30 minuti di cammino dalla frontiera dove i coloni stanno dando alle fiamme la foresta awá giorno e notte. 

Se le sue terre non saranno protette e i suoi diritti rispettati, il futuro di Piccola Farfalla resterà, nella migliore delle ipotesi, in bilico.

Ancora oggi persiste un mito che dipinge le donne indigene e le loro comunità come popoli sottomessi e arcaici, destinati a estinguersi naturalmente. Ma è quest’idea a essere antiquata, non loro. I popoli tribali non sono "arretrati" o "primitivi": hanno società complesse e dinamiche, che possono continuare a prosperare se possono restare nelle loro terre e viverci in un modo liberamente scelto. 

Tuttavia, troppo spesso sono oggetto di violenza genocida, schiavitù e razzismo da parte delle società industrializzate, che vogliono rubare loro le terre, le risorse e la forza lavoro in nome del "progresso" e della "civilizzazione". 

Per favore, sostieni Survival International e aiutaci a proteggere le vite, le terre e i diritti umani delle donne indigene.

Piccola Farfalla, una ragazzina Awá, vive in un villaggio sito a soli 30 minuti di cammino dalla frontiera dove i coloni stanno dando alle fiamme la foresta awá giorno e notte.

Se le sue terre non saranno protette e i suoi diritti rispettati, il futuro di Piccola Farfalla resterà, nella migliore delle ipotesi, in bilico.

Ancora oggi persiste un mito che dipinge le donne indigene e le loro comunità come popoli sottomessi e arcaici, destinati a estinguersi naturalmente. Ma è quest’idea a essere antiquata, non loro. I popoli tribali non sono “arretrati” o “primitivi”: hanno società complesse e dinamiche, che possono continuare a prosperare se possono restare nelle loro terre e viverci in un modo liberamente scelto.

Tuttavia, troppo spesso sono oggetto di violenza genocida, schiavitù e razzismo da parte delle società industrializzate, che vogliono rubare loro le terre, le risorse e la forza lavoro in nome del “progresso” e della “civilizzazione”.

Per favore, sostieni Survival International e aiutaci a proteggere le vite, le terre e i diritti umani delle donne indigene.

© Survival International

_Non seppelliteci nel passato. Abbiamo una nostra voce._

Donna Boscimane, Botswana.

Non seppelliteci nel passato. Abbiamo una nostra voce.

Donna Boscimane, Botswana.

© Katherine B. Topolniski/Survival

Per decenni, le donne indigene hanno dovuto sopportare sfratti brutali, intimidazioni, uccisioni e stupri da parte degli invasori. Hanno sofferto umiliazioni perpetrate da governi che promuovono l’idea che i loro popoli siano in qualche modo “arretrati” o “fermi all’età della pietra”. Hanno assistito al furto della loro terra e all’annientamento della loro autostima mentre il loro futuro diventava sempre più incerto.

Tuttavia, nonostante le sofferenze, la resistenza di molte di loro continua a crescere, in ogni continente. 

Le foto non parlano solo delle grandi tragedie che le donne indigene hanno dovuto sopportare, ma anche di donne che stanno lottando con coraggio per riavere le loro terre e per i loro fondamentali diritti umani.

Per decenni, le donne indigene hanno dovuto sopportare sfratti brutali, intimidazioni, uccisioni e stupri da parte degli invasori. Hanno sofferto umiliazioni perpetrate da governi che promuovono l’idea che i loro popoli siano in qualche modo “arretrati” o “fermi all’età della pietra”. Hanno assistito al furto della loro terra e all’annientamento della loro autostima mentre il loro futuro diventava sempre più incerto.

Tuttavia, nonostante le sofferenze, la resistenza di molte di loro continua a crescere, in ogni continente.

Le foto non parlano solo delle grandi tragedie che le donne indigene hanno dovuto sopportare, ma anche di donne che stanno lottando con coraggio per riavere le loro terre e per i loro fondamentali diritti umani.

© Matilda Temperley / www.matildatemperley.com

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