Etiopia: 'catastrofe' imminente nella bassa Valle dell'Omo

15 aprile 2013

Tre nuovi studi preannunciano una “catastrofe” per mezzo milione di indigeni, tra cui i Mursi della bassa Valle dell’Omo in Etiopia. © Survival

Questa pagina è stata creata nel 2013 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.

Secondo tre nuovi e diversi studi indipendenti, sulla bassa Valle dell’Omo, in Etiopia, incombe un’imminente “catastrofe”. A causarla sarebbero la controversa diga Gibe III, affidata senza gara d’appalto all’italiana Salini Costruttori, e il land grabbing, l’accaparramento selvaggio di terra.

Mezzo milione di indigeni in Etiopia e Kenya stanno per essere distrutti da questi progetti, dei quali Survival International chiede da tempo l’immediata sospensione.

- Lake Turkana and the Lower Omo – Hydrological Impacts of Major Dam and Irrigation Projects (Il lago Turkana e la bassa Valle dell’Omo – Impatti idrologici di una grande diga e dei progetti di irrigazione) è stato pubblicato dal Centro Studi africani dell’Università di Oxford. Secondo lo studio, il solo Kuraz Sugar Project del governo etiope farà abbassare fino a 22 metri il livello del lago Turkana, il lago nel deserto più grande al mondo. Gran parte della sua vita acquatica, tra cui le riserve ittiche indispensabili al sostentamento dei Turkana e di altri popoli che vivono nei dintorni, sarà distrutta.

Nel nome del progetto Kuraz, i popoli Bodi, Kwegu e Mursi vengono sfrattati con la forza e trasferiti in campi di reinsediamento. Una volta là, le autorità intimano loro di liberarsi del loro bestiame, ad eccezione di pochi capi. Ai Bodi è stato detto che, una volta trasferiti, dipenderanno esclusivamente dagli aiuti alimentari.

La diga Gibe III interromperà le esondazioni naturali del fiume Omo, da cui le tribù dipendono. © Survival

- Humanitarian Catastrophe and Regional Armed Conflict Brewing in the Transborder Region of Ethiopia, Kenya and South Sudan (Catastrofe umanitaria e conflitto regionale armato nella zona di confine tra Etiopia, Kenya e Sud Sudan), pubblicato dall’Africa Resources Working Group, conclude che circa 200.000 indigeni in Etiopia, e 300.000 in Kenya, subiranno gli impatti irreversibili della diga e delle piantagioni.

Secondo lo studio, la diga metterà fine alle esondazioni naturali del fiume Omo riducendo la portata del fiume del 60-70%: le vite delle tribù che vivono lungo le sue rive, e nelle sue pianure, saranno devastate. Si preannunciano anche “gravi conflitti inter-etnici”.

- The Downstream Impacts of Ethiopia’s Gibe III Dam – East Africa’s Aral Sea in the Making? (L’impatto a valle della diga Gibe III in Etiopia – Il futuro lago d’Aral dell’Africa Orientale?) pubblicato da International Rivers, avverte che i cambiamenti idrologici dovuti alla diga, sommati agli impianti di irrigazione messi in opera per le piantagioni e all’uso di fertilizzanti, potrebbero uccidere tratti del fiume Omo, creando zone morte.

Nel dossier si legge che “nella bassa Valle dell’Omo, la vita di circa 200.000-300.000 indigeni sarà gravemente sconvolta dalla distruzione dei mezzi di sussistenza e dalla violenza usata per appropriarsi delle terre e aprire le piantagioni.” Il rapporto chiede che i finanziamenti alla diga siano interrotti.

I Dipartimenti governativi per lo Sviluppo Internazionale di Regno Unito e Stati Uniti, DFID e USAID, sono i più grandi, singoli donatori all’Etiopia. Entrambi hanno ricevuto numerosi rapporti che documentano gli abusi dei diritti umani nella bassa Valle dell’Omo.

Lo scorso anno, durante una visita a Mursi e Bodi, i funzionari del Dipartimento britannico per lo Sviluppo Internazionale (DFID) hanno raccolto testimonianze di arresti, pestaggi, distruzioni delle riserve di grano, intimidazioni e violenze sessuali. © Survival

Dietro sollecitazione di Survival International e altri enti, nel gennaio 2012 il Dipartimento britannico per lo Sviluppo Internazionale (DFID) ha inviato alcuni funzionari nella bassa Valle dell’Omo per intervistare gli abitanti Mursi e Bodi. Testimoni hanno raccontato loro di arresti e pestaggi, distruzioni deliberate delle riserve di grano, accesso negato al fiume Omo e uso diffuso della forza da parte dei militari per intimidire e indurre la popolazione a cedere la propria terra. Numerosi anche i racconti di violenze sessuali.

Ci sono voluti nove mesi perché il Dipartimento britannico stendesse un “rapporto” della visita, per poi concludere che sarebbe stata necessaria un’indagine più dettagliata per “confermare” le accuse. Da allora nulla è stato fatto.

Il Dipartimento britannico per lo Sviluppo Internazionale (DFID) continua a finanziare il programma etiope “Protezione dei servizi di base”, senza il quale, probabilmente il trasferimento forzato di migliaia di indigeni non sarebbe possibile.

“Il denaro inglese sta finanziando la distruzione di alcuni dei popoli pastori più conosciuti di tutta l’Africa” ha dichiarato oggi Stephen Corry, Direttore Generale di Survival International. “I contribuenti dovrebbero indignarsi, ma probabilmente non saranno sorpresi. Il governo inglese è rinomato per le sue promesse di facciata quando si tratta dei diritti umani dei popoli indigeni. Se si parla di diritti umani in Etiopia, i tanti impegni del Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale sono inutili – l’agenzia continua ad ignorare sia le proprie politiche che le importanti convenzioni che ha ratificato.”

Note agli editori:

Tra le imprese concessionarie di terreni nella bassa valle dell’Omo compaiono anche due aziende italiane. La O.B.M. Ethio Renewable Energie ltd, partecipata di Nuove Iniziative Industriali S.r.l. al 70%, con una concessione di 40.000 ettari di terra destinata alla coltivazione di jatropha, e FRI-EL Green Power con 30.000 ettari. Survival ha scritto a entrambe le società un anno fa, senza mai ricevere risposta. La jatropha coltivata da O.B.M. in Africa rifornisce di biocarburanti varie aziende italiane, tra cui i negozi IKEA.

- Da anni l’Etiopia è uno dei principali beneficiari degli aiuti della Cooperazione italiana. Nel 2005, La DGCS ha erogato un credito d’aiuto di 220 milioni di euro per la realizzazione dell’impianto idroelettrico “Gilgel Gibe II”, il finanziamento italiano più consistente mai concesso a un solo progetto di cooperazione. Un ulteriore credito d’aiuto di 250 milioni di euro, messo a disposizione per co-finanziare il proseguimento del progetto con la diga Gibe III, è stato sospeso il 31 marzo 2011 in un clima di ferma opposizione da parte di Survival e della vasta maggioranza delle Ong italiane.

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