Brasile: indigeni contro il piano per indebolire i diritti territoriali

2 giugno 2016

I popoli indigeni del Brasile protestano nella capitale federale del paese, Brasilia. © Alan Avezedo/MNI

Questa pagina è stata creata nel 2016 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.

Gli Indiani del Brasile stanno protestando contro la minaccia dell’élite politica del paese di aprire le loro terre e limitare i loro diritti.

Mentre procede l’impeachment della Presidente Dilma Rousseff, il Presidente ad interim Michel Temer e i suoi nuovi ministri stanno cercando di porre un freno alla protezione delle terre indigene.

La Presidente Rousseff è stata criticata per aver demarcato meno territori indigeni di qualunque suo predecessore dalla fine della dittatura militare. Ma, nelle settimane prima della sospensione dall’incarico, Rousseff e i suoi colleghi avevano firmato diversi decreti di protezione territoriale.

Come quello per la terra dei Kawahiva incontattati – uno dei popoli più vulnerabili del pianeta – a seguito di una campagna internazionale di Survival; per un territorio Guarani che era stato rubato agli Indiani lasciandoli in condizioni terribili; e per le terre degli Avá Canoeiro, degli Arara, dei Mura e dei Munduruku.

Tuttavia, da allora, il Ministro della Giustizia ad interim Alexandre de Moraes ha annunciato un piano per rivedere i recenti decreti territoriali, scatenando proteste in tutto il paese.

Molti dei ministri del governo ad interim sono membri della lobby agricola anti-indigeni che sta cercando di indebolire i diritti territoriali di questi ultimi e ha proposto, tra gli altri, un emendamento costituzionale noto come PEC 215.

Se approvato, il PEC 215 potrebbe rendere quasi impossibili le future demarcazioni territoriali, ridurre la dimensione dei territori esistenti e aprirli alle attività minerarie, a progetti di estrazione del petrolio o del gas, a strade, a basi militari, e altri progetti di sviluppo che potrebbero essere letali per i popoli indigeni.

Il Ministro dell’Agricoltura ad interim, Blairo Maggi, è anche noto come il “re della soia”. La sua famiglia ha guadagnato miliardi dal saccheggio delle foreste e della terra indigena. Si è dichiarato contrario al riconoscimento dei territori indigeni, e favorevole a dighe e altri progetti che violano i diritti indigeni.

Lo scorso mese più di 1.000 indigeni hanno manifestato a Brasilia. In una dura lettera aperta indirizzata a Michel Temer, l’APIB – la rete dei popoli indigeni del Brasile – ha dichiarato: “Rifiutiamo ogni tentativo di riportare indietro le nostre conquiste e chiediamo il rispetto totale per i nostri diritti fondamentali, sanciti dalla costituzione federale.”

Centinaia di migliaia di Indiani in tutto il paese dipendono dalla terra per sopravvivere. La costituzione brasiliana e la legge internazionale garantiscono la protezione delle loro terre per il loro uso esclusivo, ma le leggi vengono violate e alcune tribù rischiano il genocidio.

La campagna di Survival ‘Fermiamo il genocidio in Brasile’, in vista delle Olimpiadi di Rio, chiede al governo Brasiliano di fermare queste modifiche giuridiche potenzialmente letali, e di dare attuazione all’ordinanza di protezione della terra dei Kawahiva incontattati, per impedire lo sterminio della tribù.

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