Successo per le tribù del Sarawak: abbandonato il progetto della diga di Baram

8 dicembre 2015

I Penan dipendono dalla foresta per la caccia e la raccolta. La diga di Baram avrebbe inondato 388 chilometri quadrati di terra. © Victor Barro/Survival

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Dopo anni di proteste, il progetto di costruzione della diga di Baram, che avrebbe sommerso le case di 20.000 indigeni nello stato malese del Sarawak, è stato abbandonato.

Il primo ministro del Sarawak Tan Sri Adenan Satem ha annunciato che la decisione di sospendere la diga è stata presa per rispettare le opinioni delle comunità interessate, e ha aggiunto “Se non volete la diga, va bene. Rispetteremo la vostra decisione.”

Gli indigeni, che rischiavano di vedersi inondare case e foreste, stavano protestavano e assediando il sito della diga da due anni. Le comunità hanno accolto con favore la notizia; chiedono però che la diga non sia messa semplicemente “in sospeso fino a nuovo ordine”, vogliono la garanzia che non sarà mai costruita.

Gli indigeni chiedono anche la restituzione della terra acquisita per il sito della diga e la revoca dei permessi per il taglio del legname nell’area.

Molti osservatori guardano con scetticismo all’improvvisa decisione del governo di rispettare il volere delle comunità indigene. I loro diritti alla terra e a opporsi al disboscamento, alle piantagioni di palma da olio e alle mega-dighe non sono mai stati così prontamente riconosciuti in passato. Dietro questa decisione potrebbero esserci motivi economici, che rendono la diga non più fattibile: le dighe esistenti in Sarawak forniscono infatti già più energia di quanta lo stato non abbia bisogno.

I popoli indigeni che sarebbero stati colpiti dalla diga – appartenenti alle comunità Kenyah, Kayan e Penan – si sono opposti con forza al progetto sin dall’inizio. Sono ben consapevoli delle difficoltà che hanno dovuto e che continuano ad affrontare coloro che sono stati sfrattati per far spazio ad altre dighe: fanno fatica a cacciare e a raccogliere, o a coltivare sufficiente cibo nei piccoli appezzamenti di terra che gli sono stati assegnati in cambio.

Durante l’assedio contro la diga di Baram, Lenjau Tusau, capo anziano del villaggio di Long Makaba, aveva mostrato tutto il coraggio e la dignità delle comunità dichiarando: “Non andremo via. La nostra vita e la nostra cultura sono qui. La terra, i fiumi e le rocce ci appartengono.”

La diga di Baram faceva parte di un complesso di dodici dighe idroelettriche che il governo del Sarawak avrebbe dovuto costruire. Nel 2008 era trapelato su internet un documento che svelava i progetti del governo di costruire queste dighe, nonostante non vi fosse mercato per l’elettricità che sarebbe stata prodotta.

Molte organizzazioni locali, nazionali e internazionali – tra cui Survival – si battono da anni contro il progetto di costruzione delle dighe in Sarawak. Centinaia di sostenitori di Survival avevano scritto al governo del Sarawak per protestare contro le dighe, il disboscamento e le piantagioni. Survival continuerà a chiedere al governo che nelle terre dei popoli indigeni non siano realizzati progetti di sviluppo senza il loro consenso.

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