La pratica del debbio

Questa pagina è stata creata nel 2013 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.

Debbio e conservazione

Secondo alcuni esperti, la pratica del debbio non mette a rischio l’immensa biodiversità delle foreste, anzi, ne ha addirittura favorito lo sviluppo.

In questi sistemi agricoli, sviluppati nel corso del tempo per rispondere in modo adeguato sia alle esigenze della terra che a quelle delle comunità, il fuoco viene utilizzato in modo molto ponderato.

Il termine “taglia e brucia” è usato anche per descrivere la diffusione incontrollata di imprese agricole e allevamenti all’interno delle aree forestali: prima si tagliano gli alberi e poi si bruciano i tronchi per fare spazio ai campi. Simili azioni “pioneristiche” non hanno nulla a che vedere con l’attenta fertilizzazione e rotazione dei terreni praticate per generazioni dai popoli indigeni. Tuttavia, uomini politici poco informati hanno assimilato tutte queste diverse attività descrivendole come pessime pratiche ambientali.

A metà del ‘900, la pratica del debbio era considerata un’attività disastrosa, che distruggeva foreste destinate alla conservazione o al taglio. L’impatto delle attività minerarie, delle dighe, delle piantagioni e della domanda insaziabile di legname veniva minimizzato, mentre la pratica del debbio veniva considerata il nemico numero uno della conservazione. Diversi governi bandirono o limitarono duramente quest’attività, mentre permettevano che vaste aree di foresta venissero abbattute per commerciarne il legname, per aprirvi piantagioni e alimentare la produzione di biocarburanti.

Questo atteggiamento rimane predominante ancora oggi. La compagnia mineraria Vedanta Resources, ad esempio, ha affermato che “la pratica agricola del debbio dei Dongria Kondh ha causato la distruzione su vasta scala della foresta e, quindi, la perdita di biodiversità”. Una simile dichiarazione è non solo falsa, ma anche paradossale poiché a sostenerla è una compagnia che vorrebbe scavare una grande miniera a cielo aperto nella stessa zona, ricchissima di biodiversità.

Recentemente, alcuni scienziati si sono accorti che questi sistemi agricoli “mantengono livelli di biodiversità molto alti e forniscono mezzi di sostentamento alle popolazioni delle foreste tropicali di tutto il mondo.”

Nell’Amazzonia peruviana, ad esempio, gli scienziati hanno registrato una media di 37 specie diverse di alberi nei terreni soggetti alla pratica del debbio, mentre altre ricerche hanno rivelato che nei terreni degli agricoltori Karen, nel nord della Tailandia, ne fioriscono più di 370 specie.

Ben lungi dall’essere responsabile della perdita di biodiversità, al debbio praticato dai popoli indigeni viene sempre più riconosciuto il merito di aver contribuito alla diversità delle aree forestali e al mantenimento del loro valore ecologico.

Il debbio in pratica

I Wanniyala Aetto dello Sri Lanka sono un popolo della foresta che pratica tradizionalmente una forma di agricoltura chiamata “chena”. Alcune aree di foresta vengono tagliate e utilizzate per uno o due anni, e poi lasciate a riposare per altri sette o otto. Gli orti sembrano disordinati e diverse coltivazioni convivono tutte insieme, senza nette separazioni tra una e l’altra; ma è proprio questa diversità la chiave del loro valore ecologico e anche dell’importanza economica che rivestono per i Wanniyala Aetto.

La maggior parte delle foreste “primarie” del mondo è stata storicamente gestita con la pratica del debbio. Gran parte della ricrescita “secondaria” è ricca in biodiversità perché la pulizia incoraggia la crescita di piante diverse, che a loro volta attraggono una grande varietà di animali e uccelli.

Durante il periodo di inattività, il terreno in rigenerazione continua a essere utile alla comunità: fornisce animali da cacciare e una serie di prodotti forestali tra cui medicine, fibre e combustibili. Per queste comunità, le foreste sono considerate parte del proprio sistema di sussistenza, e non come terreni da liberare per far spazio ai campi agricoli.

Gli Jumma e la coltivazione “jhum”

Gli Jumma, un gruppo di diverse tribù che abita le Chittagong Hill Tract del Bangladesh settentrionale, devono il loro nome collettivo a una speciale tecnica di coltivazione detta “jhum”. Gli Jumma hanno sviluppato questo sistema agricolo per adattarsi al paesaggio collinare e irregolare in cui vivono.

Lo jhum era un sistema efficace e sostenibile che ha permesso agli Jumma di soddisfare i loro bisogni per generazioni. Oggi, tuttavia, le tribù sono schiacciate in un territorio sempre più piccolo: prima una parte della loro terra è stata sommersa dalla diga sul fiume Karnafuli, e poi hanno subito l’invasione di migliaia di coloni bengalesi, incoraggiati dal governo a insediarsi nelle Hill Tracts.

Gli Jumma e le coltivazioni jhum sono minacciati sia dai coloni sia dall’esercito bengalese; la loro situazione è inoltre aggravata dalle dure restrizioni imposte loro nell’accesso e nell’uso della foresta. Sono costretti ad accorciare i periodi di riposo della terra e per questo i raccolti stanno diminuendo, causando scarsità di cibo e difficoltà economiche.

I raccolti

Un argomento utilizzato contro la pratica del debbio è quello secondo cui questo sistema non permetterebbe di produrre cibo a sufficienza per una popolazione in espansione. Tuttavia, la qualità e la diversificazione degli elementi nutritivi ricavati dai territori coltivati con questa modalità è generalmente superiore a quello proveniente dai sistemi di agricoltura intensiva. In un’area dell’Amazzonia viene coltivato ogni volta solo il 5% del territorio forestale, mentre il resto è lasciato a differenti stadi di rigenerazione.

Molte delle aree in cui viene praticato il debbio sono inadatte alla coltivazione permanente perché il suolo è troppo povero. Spostando ogni anno i loro orti, le comunità tribali riescono a garantirsi rifornimenti di cibo diversi e sostenibili, invece che raccolti abbondanti ma limitati nel tempo.

Con l’eliminazione della pratica del debbio, si diffondono nuovi sistemi agricoli e piantagioni di biocarburanti. Generalmente, questi sistemi rispettano molto meno la biodiversità del luogo e sono estranei alla popolazione locale: sfuggono al loro controllo e sono incapaci di sostenere le loro comunità – sia in termini di mezzi che di qualità nutritiva o sostenibilità. Per le comunità tribali, questa forma di “progresso” è devastante.h2. Dal sito di Survival

* Parks need people
* I Dongria Kondh
* Gli Jumma
* I Wanniyala-Aetto


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